ELEMENTI DA CONSIDERARE E BENEFICI DELL’ATTIVITA’ INDOOR - massarob.info

ELEMENTI DA CONSIDERARE E BENEFICI DELL’ATTIVITA’ INDOOR


In questo periodo particolare in cui, ancor prima delle restrizioni era logico, buon senso e segno di civiltà ridurre le uscite non necessarie (quindi trasferimenti senza utilità lavorativa o per esigenze di salute), tutte l’attività “ciclistiche” sono inevitabilmente su rulli, ergometri o strumentazione similare.
Oltre a inevitabili e prevedibili risultati sul mercato di queste attrezzature (LINK) molte persone ora si sono riversate su piattaforme come Zwift, Rouvy, RGT, BigringVR ecc ecc.
Scoprendo forse l’acqua calda (o in inverno…allenamenti senza congelarsi).
Conscio dei costi/benefici di questa scelta, elementi trattati in un articolo scritto anni fa (LINK) sono anni che, personalmente, l’80-90%* dei miei allenamenti da ottobre a febbraio si svolgono indoor.
*regolina semplice che indicavo anche nei programmi di allenamento: “non riceverai nessuna medaglia per esserti allenato a temperature polari in inverno. La mia “regola”, ma sei libero di non applicarla, è che a temperature < 5° l’attività passa direttamente indoor.”
Come esempio, da quando Zwift era ancora in fase di beta test e c’era così poca gente che venivano inseriti “bot” pedalatori -contro i picchi attuali di 15+ mila persone online contemporaneamente- ho pedalato SOLO su questa piattaforma per quasi 18mila Km e oltre 500 ore. Ovviamente in questi anni non ho utilizzato solo questa piattaforma.




Oltre ai punti dell’articolo sopra indicato elencherò altri aspetti da considerare in questa situazione di prolungata (per chi già prima rullava) o nuova fase di allenamento indoor. Questo articolo quindi non sostituisce ma integra il precedente, sia pure datato.


ADATTAMENTO, la parola e concetto chiave

Le differenze tra una pedalata all’aperto rispetto al “chiuso” sono ovviamente sempre presenti e richiedono un adattamento. E’ del tutto logico e normale, ANCHE per chi ha interrotto l’attività indoor da poche settimane, prevedere un riadattamento o nuovo adattamento che richiederà 5-7 sessioni di almeno 1h-1h30 ciascuna. Questo volume di tempo cumulativo E continuativo è essenzialmente necessario per creare risposte e successivi adattamenti (somma continuativa e non saltuaria di risposte) che riguardano 3 aspetti, non disgiunti tra loro:
Termoregolazione, sudorazione e incremento dei volumi plasmatici.
Il primo aspetto riguarda una variabile che possiamo anche controllare: si devono ovviamente evitare temperature eccessive che incrementano lo stress termico ricordando che, sempre dal materiale che fornivo:
in caso di allenamento indoor cerca di svolgere queste sedute a temperature ottimali per l’attività aerobica prolungata ossia tra un minimo di 12-13° ed un massimo di 18-19°. La ventilazione statica (es. finestre aperte) non può essere sufficiente, in particolare in allenamenti più intensi, ad un’ottimale dispersione termica (pedalare a 250W per un’ora significa generare -dissipando- l’equivalente in calore di 750Wh).”





Va ricordato infatti che la nostra attività del pedalare ha un’efficienza energetica del ~25% (comunque alta/superiore rispetto ad altri gesti, es. correre). Ossia per X quantità di energia chimica ossidata/utilizzata “solo” ¼ diventa lavoro meccanico (potenza*tempo) mentre ¾ di questa energia si disperde in calore.
Questo principio ed effetto è, per esempio, ancora più evidente ma del tutto sovrapponibile in attività dove il rapporto tra energia chimica ossidata e lavoro è ancora meno efficiente e vi è quindi una maggiore dispersione di calore (es. nella corsa, fattore critico per identificare valori ottimali per esempio nei recenti record sulla maratona: https://journals.plos.org/plosone/article?id=10.1371/journal.pone.0037407  o, concetto più banale, il motivo per cui correndo ci si “scalda” maggiormente che in altre attività motorie).
E’ quindi fondamentale mantenere temperature che agevolino la dispersione termica per “convezione” con il fluido “aria”. La sola staticità del fluido (finestra aperta) non è comunque sufficiente viste le quantità di calore dissipato in gioco. E’ necessario provvedere anche con una ventilazione forzata che dovrà essere proporzionale ai valori di potenza (e quindi di calore da dissipare) che generiamo. Tali valori sono a loro volta correlati alle intensità: sessioni più impegnative potrebbero richiedere anche più di un ventilatore o una maggiore velocità del flusso d’aria da questo/i generato.

A queste indicazioni vi possono essere e vi sono particolari eccezioni di adattamento SE, dopo un adeguato adattamento, si vuole inserire uno stressor termico per incrementare i volumi plasmatici (
https://www.outsideonline.com/2098556/surprising-benefits-training-heat)
Questo deve però rappresentare l’eccezionalità e non la “regola”.
Di base vanno quindi mantenute temperature ideali e ventilazione che permettano all’ IMPORTANTISSIMO sistema di sudorazione di svolgere il proprio compito.

Dal libro “Breve storia del Corpo Umano”:
Le ghiandole sudoripare […] sono di gran lunga più importanti. Magari non ce ne rendiamo conto, ma il sudore è per noi un elemento cruciale. Come dice Nina Jablonski: «È il semplice e tutt’altro che incantevole sudore ad averci reso quello che siamo oggi». Gli scimpanzé hanno solo la metà delle nostre ghiandole sudoripare, quindi non possono disperdere il calore con altrettanta rapidità. La maggior parte dei quadrupedi si rinfresca ansimando, operazione incompatibile con una corsa sostenuta specie nel caso delle creature pelose che vivono in climi caldi. Molto meglio fare come noi e trasudare acqua dalla pelle, che raffredda il corpo mentre evapora rendendoci condizionatori viventi. Secondo Jablonski, «La perdita del grosso dei peli e l’acquisto della capacità di disperdere il calore in eccesso tramite la sudorazione eccrina ha reso possibile il notevole sviluppo del nostro organo più sensibile alla temperatura, il cervello». Ecco come il sudore ci ha aiutato a diventare intelligenti. Pur sudando persino a riposo, anche se molto meno, durante un’attività intensa o in condizioni difficili esauriamo le nostre scorte d’acqua piuttosto in fretta.
Come scrive Peter Stark nel suo libro ‘All’ultimo respiro. Storie ai limiti della sopravvivenza’, un uomo di settanta chili contiene poco più di quaranta litri d’acqua. Se resta seduto senza far nulla ne perde circa uno e mezzo al giorno tramite sudore, respirazione e minzione. Se invece fa uno sforzo può consumarne un litro e mezzo all’ora, situazione che può diventare pericolosa. In condizioni estreme – camminando sotto un sole violento, per esempio – si possono facilmente perdere dai dieci ai dodici litri d’acqua in un giorno. Ecco perché se fa caldo dobbiamo mantenerci idratati. A meno che la perdita non venga arrestata o reintegrata insorgono mal di testa e letargia dopo appena tre-cinque litri di liquidi consumati. Dopo sei o sette aumenta la probabilità che si manifesti un problema cerebrale (come avviene agli escursionisti disidratati, che abbandonano il sentiero e vagano nel bosco). Se un uomo di settanta chili perde oltre dieci litri d’acqua rischia collasso cardiocircolatorio e morte. Durante la Seconda guerra mondiale gli scienziati studiarono la resistenza dei soldati durante la marcia in un deserto senz’acqua (ipotizzando che prima fossero stati adeguatamente idratati) e conclusero che avrebbero potuto percorrere 70 chilometri con 26 gradi, 24 con 37 e appena 11 con 48. Il sudore è composto per il 99,5 per cento di acqua. Il resto è per metà sale e per metà altre sostanze chimiche. Sebbene il sale sia quindi una minuscola componente, quando fa caldo se ne possono perdere fino a dodici grammi – tre cucchiaini – al giorno, una quantità pericolosamente alta che va reintegrata al pari dell’acqua.
Perché questa lunga introduzione sulla sudorazione? Perché troppo spesso ne sottostimiamo funzionalità e utilità.
Per svolgere il proprio compito di dispersione di calore deve essere ridotta al minimo la sua dispersione a terra: la pozza di sudore a terra, al pari dell’uscita sotto zero, non è sinonimo di bravura o vi porterà ad alcuna medaglia. Rappresenta invece semplicemente una quantità di sudore/acqua NON utilizzata per contenere l’incremento di temperatura corporea. Quella quota di sudore, NON evaporando, non ha svolto il suo compito. L’adattamento sopra indicato induce anche una autoregolazione in questi termini ossia a parità di calore si tenderà ad avere una risposta nella sudorazione più veloce (senza, generalmente, un incremento di volume) rispetto ad un soggetto non adattato. Questo implica una miglior capacità di termoregolazione e soprattutto una riduzione nella percezione (RPE) di difficoltà a parità di sforzo.

Il terzo aspetto riguarda un adattamento non periferico/superficiale e quindi non visibile ma che possiamo riscontrare osservando per esempio il battito cardiaco sotto sforzo: con l’adattamento questo parametro si ridurrà a parità di intensità e lavoro (potenza*tempo).
Perché avviene questo adattamento? Dalla raccolta di articoli di Seiler in “Exercise Physiology”
This adaptation is quite rapid, and helps explain why VO2 max is significantly increased after only 1 week of training in previously sedentary subjects. This blood volume expansion is also rapidly lost (3-7 days) with inactivity. The increased blood volume is due to both an increase in blood plasma and an increase in red blood cells. However, the plasma volume change is slightly greater so that blood hematocrit is slightly reduced with training (exercise pseudoanemia).

Queste risposte e quindi il loro sommarsi generano questo adattamento in situazioni di “normo” temperature, uno stressor esterno come l’incremento della temperatura per effetto di quella ambientale “al coperto” ne velocizza semplicemente l’effetto. Lo stesso effetto e principio è stato esplicitato anche nel già precedentemente citato articolo: https://www.outsideonline.com/2098556/surprising-benefits-training-heat.

La somma di questi adattamenti, e conoscerne cause/effetti costi/benefici, inducono sicuramente nel computo generale dei benefici puramente fisologici.
Un aspetto importante che personalmente ho riscontrato nelle sessioni indoor, soprattutto se particolarmente intense, riguarda quello che generalmente potremmo ancora chiamare come Central Governor (LINK).
A parità di intensità, rimane più elevata, sia pure marginalmente anche con i dovuti adattamenti, la percezione dello sforzo ma questo “allenamento” genera poi dei cambiamenti, in positivo, quando si tratta di trasporre queste intensità e gestione della fatica (percepita e “reale”) anche su strada.
Uno degli elementi più importanti che mi ha permesso anche questi risultati negli ultimi anni (LINK18LINK19) è indubbiamente anche l’aspetto mentale/psicologico di gestione della fatica allenata in situazioni indoor. Un “click” mentale che potrei banalmente descrivere come il “stai facendo fatica ma ti ricordi a novembre-dicembre-gennaio-febbraio sui rulli come stavi ‘facendo’ la stessa fatica se non di più!?”. Non scherzo dicendo, come ho fatto più volte, che certe sessioni/eventi/”gare” indoor sono brutalmente più intense e ostiche di certe gare “vere”. Ovviamente questa “dose” di intensità, come ogni carico allenante, per essere proficua deve seguire una logica di progressività, distribuzione e sostenibilità (recuperi).

In quest’ottica, e tornando agli aspetti fisiologici, non va quindi assolutamente sottovalutato l’aspetto nutrizionale e alimentare. Spesso critico e sottovalutato per le sessioni “all’aperto”, ancora di più può essere un problema per quelle “indoor.”
Vanno rispettate tutte le indicazioni e suggerimenti tipici dell’attività outdoor sia per quanto riguarda l’assunzione di carboidrati che a maggior ragione per la parte liquida/acqua.



Come esempio puramente pratico cerco di consumare ALMENO 750mL di acqua con 60-90g carboidrati (60g se solo maltodestrine, 90g se con aggiunta di 30g fruttosio) ogni 60-90 minuti.
Per eventi superiori alle 2h inserisco sempre anche cibo solido come frutta secca o banane (no barrette o gel si ha la comodità e praticità di avere supporti su cui appoggiare qualsiasi cosa).
Presi in considerazione questi punti possiamo dire quindi che l’attività indoor, se correttamente strutturata (ma questo non è esente nemmeno da quella outdoor/”tradizionale”…) rappresenta non solo una valida alternativa ma anzi un elemento di ottimizzazione del carico.

Infatti anche altri sono i fattori positivi, elencandoli senza approfondirli:
-         - Miglior rapporto tempo effettivo di allenamento/tempo totale: si riducono notevolmente i tempi morti. Non solo nelle fasi pedalate ma spesso, soprattutto nei periodi invernali, nelle fasi di vestizione/svestizione. Personalmente ho una bici sempre dedicata al rullo, in questo modo l’unica aggiunta di tempo morto è l’avvio del programma/applicazione che vorrò utilizzare (!)
-         - Sui rulli non piove, non fa freddo: minori rischi di ammalarsi o ancor peggio di cadere. Sono cose banalissime ma forse è sempre meglio ribadirle.
-         - Non vi sono rotonde, discese, traffico: ridurre il rischio dato da questi elementi soprattutto in situazioni di minor visibilità (o sole molto basso in certi orari/fasi dell’anno) è un bonus non secondario.
-         - Ti puoi allenare ovunque, all’orario che vuoi. Mi capita spesso di avere giornate piene per impegni scolastici. Situazione in cui posso tranquillamente usare i rulli indipendentemente che siano le 6 del mattino o le 20.
-         - Si può allenare la tecnica di pedalata. Per esempio utilizzando le sessioni più blande per allenarsi sui rulli “liberi” (rollers). Decade quindi anche il falso mito che allenarsi indoor rende meno tecnici. Ci si può focalizzare sulla tecnica di pedalata, quella di guida può essere ripresa in altri momenti dell’anno.
-         - I rulli non sono più noiosi: ci sono decine di alternative (software/app) per rendere questa attività più piacevole ma anche redditizia. Sta solo a noi impegnarci per fare uno sforzo puramente mentale nell’uscire da preconcetti e chiusure.
Questo però andrebbe fatto, sempre e a prescindere.